giovedì 10 gennaio 2008

Ecco la spallatina prodiana ai proporzionalisti con i baffi

• Micheli lo scrive, Sircana lo conferma, Prodi lo pensa. Meglio ragionare sul francese che legarsi a dogmi tedeschi. Incombe la Consulta

Roma. Nel labirinto di bozze e di sistemi elettorali costruito a cavallo tra Palazzo Chigi e il loft del Pd, il sottilissimo filo che passa tra le mani di Romano Prodi, Massimo D’Alema e Francesco Rutelli è stato, ieri, un po’ indebolito da uno dei consiglieri più ascoltati, e vicini, al premier: Enrico Micheli. Con una dura lettera pubblicata da Repubblica, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha fatto fare a Palazzo Chigi un primo passo pubblico sul percorso della legge elettorale; ha difeso l’ouverture al sistema francese del vice di Veltroni (Dario Franceschini); ha dato uno strattone a chi continua ad aggrapparsi alla scialuppa del “dogma del sistema tedesco”: appoggiato dal leader Udc, Casini, e dai due vicepremier democratici, Rutelli e D’Alema. “Perché – scrive Micheli – uno come Franceschini non può azzardarsi a pronunciare la sua preferenza verso il doppio turno semipresidenziale alla francese, che è il sistema più efficace, insieme a quello inglese, per far sì che i cittadini abbiano le giuste e tempestive decisioni da parte del governo su cui confrontarsi al momento del voto?”.
Nulla di strano, si direbbe: il sistema francese – che con una mano il Pd ha rilanciato tramite Franceschini e con l’altra l’ha poi però di nuovo nascosto con W – per gli ulivisti puri come Parisi, Bindi e Prodi è sempre stato la prima scelta; ed era stato lo stesso Prodi, lo scorso dicembre, a confermare di sognarlo, il modello sarkozista (“Avessi io il potere che ha lui”, spiegò il premier davanti a Sarko). Di sospetto c’è però che la lettera inviata da Palazzo Chigi – che dà un bel colpo ai proporzionalisti e a chi oggi “ha il potere di paralizzare la politica” – arriva da un uomo chiave del prodismo, non solo di governo (Micheli era direttore generale dell’Iri ai tempi della presidenza Prodi). Di sospetto c’è anche la tempistica con cui la lettera arriva, e dato che mercoledì prossimo la Consulta deciderà se accendere oppure no la miccia referendaria (più sì che no) i tempi della sopravvivenza prodiana saranno scanditi dall’alleato che il Prof. considererà più utile per fissare i paletti del sistema elettorale. Per quanto possa essere spaventosa per il premier l’ipotesi di consegnarsi a una delle due metà del CaW (Cav + W) – che non aspetta altro se non ricevere campo libero dal governo – Prodi sembra però aver capito che la lingua su cui si può lavorare per sopravvivere non ha i baffi e neanche l’accento tedesco. “La vocazione maggioritaria e coalizionale del Pd sarebbe garantita più da un sistema francese o da un referendum che da un modello tedesco”, dice al Foglio il deputato ulivista e prodiano Franco Monaco.
Ecco, e Prodi? Silvio Sircana, portavoce del premier, conferma al Foglio perché non è un errore far coincidere il pensiero di Prodi con quello di Micheli: quella lettera – dice Sircana – il presidente “l’ha letta, e non gli è affatto dispiaciuta”; anche, naturalmente, nel passaggio in cui il super consigliere si fa questa domanda: “Perché nel momento in cui questo partito (il Pd, ndr) si espone, come deve, su taluni temi di rilevanza assoluta, il fuoco di sbarramento comincia dal suo interno prima che da fuori?”. Possibile che Micheli si riferisca a D’Alema? Certo è che l’apertura francese del ticket veltroniano, secondo il vicepremier doveva spezzare in due l’intesa tra Prodi e W; per questo, dopo l’ouverture di Franceschini, D’Alema disse che Prodi non sarebbe stato “per niente contento”. Sircana oggi dice il contrario, e se Prodi potesse scegliere quale lingua parlare nel suo nuovo tandem, tra una tendenza francese e un tedesco malaticcio non avrebbe dubbi: “Ricordate che siamo nati pensando in francese”.
Claudio Cerasa
10/01/08

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