mercoledì 18 febbraio 2009

Il Foglio. "Ma il pd era una boiata?"

E’ troppo facile dire che dopo un paio di elezioni perse, che dopo una sconfitta alle politiche, che dopo un flop abruzzese e che dopo un mezzo disastro sardo il progetto del Pd sia ormai un progetto destinato a finire dritto nel cestino. Si può discutere se in questo anno e mezzo di interregno veltroniano il segretario del Pd si sia dimostrato o meno un leader con un progetto politico affidabile, e a questo punto della sua esperienza è più che comprensibile che l’ex sindaco di Roma abbia presentato le sue dimissioni. Ma se i risultati ottenuti fino a oggi dal Pd bocciano il progetto di W. sarebbe però un errore grossolano credere che la cosa giusta per il partito sia quella di staccare la spina. Non c’è dubbio che il Pd non sia quel partito perfetto che sognano gli elettori di centrosinistra, non c’è dubbio che non basti Facebook per diventare simili a Obama e non c’è dubbio che il Pd sia un amalgama ancora non particolarmente ben riuscito. Ma dire che il problema del Pd sia lo stesso Pd oggi dà più o meno gli stessi brividi di chi – a proposito di crisi economica internazionale – crede che il problema del capitalismo sia il capitalismo stesso. La verità è che nel Partito democratico in questo momento non c’è nessuno che abbia davvero la stoffa per provare a ragionare fuori dal perimetro del proprio orticello politico. Non bisogna essere retroscenisti navigati e non c’è bisogno di travestirsi da querce in Transatlantico per sapere che nel Pd esiste da mesi una gamma piuttosto ampia di posizioni prevalenti molto distanti – se non opposte se non avverse se non nemiche – a quelle del segretario; e a questo proposito non basta il timido tentativo di Pier Luigi Bersani per non notare che il Pd sia in fondo un partito pieno di dirigenti anche un po’ codardi. Dirigenti che se da un lato non hanno mai fatto nulla per nascondere la propria insofferenza nei confronti di Veltroni dall’altro, però, non hanno mai avuto il coraggio di fare quel passetto in più. Quel passetto che avrebbe permesso loro di non aspettare il logoramento del segretario per promuovere un’alternativa costruttiva che avrebbe in fondo fatto il bene proprio del Pd.

Aveva ragione Churchill
E’ anche per questo che oggi l’impressione che si ha guardando il gruppo dirigente del Pd è la stessa che si potrebbe avere nell’osservare dall’alto una grande squadra di calcio che si ritrova in campo sempre con un gran numero di giocatori tanto belli quanto sopravvalutati – e che più che pensare al risultato pensa soprattutto a come allisciarsi il pelo o quantomeno i baffi. Oggi più che mai, dunque, per il Pd vale quel che Winston Churchill disse sulla democrazia nel novembre 1947 alla Camera dei comuni: “La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora”. Perché credere che la soluzione migliore per il centrosinistra sia quella di fare un passetto indietro, e vivere eternamente con due cuori in due capanne un po’ diverse, è cosa poco saggia anche per altre ragioni. Così come è chiaro che se non si è bravi padroni di casa la colpa non è per forza della struttura della casa, dovrebbe essere evidente che la sinistra non è certo morta per sopraggiunta vocazione maggioritaria, ma che in questo momento si è semplicemente estinta nell’animo degli elettori. E’ un po’ lo stesso discorso che vale per i quotidiani: i lettori dei buoni giornali esisteranno sempre, ma se non ci sono buoni giornali in giro e i giornali non vendono questo non significa che i lettori non ci siano più. A questo va poi aggiunto che le idee con cui W. aveva provato a disegnare il suo Pd un anno e mezzo fa restano in fondo validissime, e semmai il problema del segretario è stato quello di averle tradite un po’ quelle parole. Sia in Abruzzo sia in Sardegna il vecchio progetto di corsa solitaria è stato lasciato chiuso in un cassetto, e non è certo un caso che Soru abbia perso le elezioni con una coalizione più larga che mai. Così, ora che inizieranno a girare mille nomi per il nuovo Pd, chissà che non abbia ragione chi crede che la guida perfetta per il Pd in fondo esiste, è lì, non è un politico, non è un imprenditore, non è un editore, è qualcuno che la linea del Pd la conosce meglio dei dirigenti, che sa come spiegarla, che sa come raccontarla e che forse sa persino come imporla. Qualcuno – come nel Pd c’è chi sussurra ormai senza scherzare troppo – come Ezio Mauro.
Claudio Cerasa
19/02/09

1 commento:

leox ha detto...

Bell'articolo. Lucido, mi sembra. Ci fosse un po' di lucidità anche fra le fila dei piddini, sarebbe un inizio.
Ezio Mauro? Non ci avevo pensato. Hai visto mai?