venerdì 31 ottobre 2008

Il Foglio "Se vuole mettere insieme i due Pd dia retta, Walter. Si trovi un signor Wolf "

Non c’è niente da fare: a Walter servirebbe proprio un bravo uomo macchina. Non un altro capo di gabinetto, non un altro capo ufficio stampa, non un altro portavoce, non un altro coordinatore ma semplicemente una di quelle persone che sappia far viaggiare sullo stesso binario i due mondi di W: la piazza e il partito. Solo che un formidabile uomo macchina che risolva i problemi di W. – come fosse un signor Wolf, solo un po’ meno aggressivo (ricordate Pulp Fiction?) – Walter non lo ha ancora trovato.

L’ultimo tentativo fatto da Veltroni è stato quello di offrire le chiavi dell’organizzazione del Pd a un uomo esperto come Maurizio Migliavacca. Erano tutti d’accordo. Era d’accordo Fassino. Era d’accordo D’Alema. Era d’accordo Franceschini. Era d’accordo quello stesso Franco Marini che per primo aveva segnalato a Veltroni il rischio che il Pd diventasse un partito slabbrato – un partito “fru fru” – e che dieci giorni fa, ad Assisi, aveva chiesto al segretario di dare uno scossone all’organizzazione del Pd: con l’idea di mettere definitivamente sotto il tappeto quelle anime che ancora oggi, zitte zitte, sognano un partito un po’ liquido e un po’ americano. Così, la scelta di promuovere l’onorevole Migliavacca sarebbe stata un modo per trovare un equilibrio interno al Pd. Un po’ meno di poteri a Walter, un po’ più di poteri all’apparato. Invece non è successo: lunedì Veltroni ha deciso che in questo momento non era il caso di scendere a patti con correnti e correntine.

Per quel ruolo forse W. sceglierà Andrea Orlando, ma il fatto è che ancora una volta si trova di fronte alla solita contraddizione. Da un lato c’è quel popolo che sembra acclamare W. come ai tempi delle primarie e che ha dato la possibilità al segretario di apparire più tonico, più attivo, più in palla. Dall’altro lato, invece, c’è mezzo partito che oggi è letteralmente infuriato. Perché se da un lato il leader del Pd ha un ottimo uomo macchina come Achille Passoni (senatore democratico, regista della manifestazione di sabato 25), uno che in un momento difficile è stato in grado di riempire la pista verde del Circo Massimo, portando a Roma milioni di persone e compiendo lo stesso miracolo che gli era riuscito otto anni fa quando riempì la stessa piazza romana per Sergio Cofferati, ecco, dall’altra parte Veltroni ha deciso che per far funzionare la macchina del Pd non c’è bisogno di nessun altro. Ci pensa lui, e il Pd non ci sta.

"Veltroni – racconta un dirigente del Pd – ha dimostrato di avere difficoltà a mettere insieme quei due mondi uguali e contrari che da sempre caratterizzano lo stile della sua leadership: la piazza e il partito. Ogni volta che Walter si ritrova in mano con un credito che gli arriva dal suo popolo finisce che quel credito lo utilizza per guadagnare nel breve: per avere un buon titolo sul giornale. Infine, Veltroni non capisce che in un momento come questo i leader troppo autoritari non fanno il bene del Pd: perché quando il cuore del partito chiede di radicarsi e di strutturarsi non ci può essere una continua chiamata alle armi, e non si possono per esempio presentare iniziative come quelle del referendum senza averle neppure concordate prima con il partito”.

Un segnale dell’insofferenza del Pd di fronte alla seconda giovinezza di Walter (e della non perfetta messa a punto della macchina di partito) è arrivato ieri: il Senato ha approvato un decreto che prevede l’invio dei cinquecento militari che dalla prossima settimana avranno il compito di controllare il territorio del casertano e di proteggerlo dalla Camorra. Veltroni, che il 15 novembre organizzerà una manifestazione del Pd a Casal di Principe, aveva ordinato ai suoi di votare di sì. I senatori del Pd, invece, hanno schiacciato il pulsante opposto, e hanno detto di no. Non deve dunque stupire che ieri il senatore Enrico Morando si sia sfogato così con i suoi colleghi in una riunione alla fine della giornata. “Non è accettabile che in aula votiamo contro la linea del partito”. Dia retta a noi, Walter. Si prenda un po’ di tempo e si trovi presto un signor Wolf per il suo Pd.

giovedì 23 ottobre 2008

Il Foglio. " D’Alema più Letta (Enrico), così è nato il dalettismo "

In mezzo a mille correntine, ecco come i due hanno accerchiato Veltroni. Vedi Puglia, Calabria e Red

Diciamo pure che la presa dalemiana del Partito democratico parte anche da qui. Perché in mezzo a questo oceano di correnti e correntine, in cui ormai sembra essersi perduto il Partito democratico, c’è qualcosa di nuovo. C’è qualcosa che si muove. C’è quella che potrebbe anche definirsi come l’ultima declinazione della vecchia classe dirigente di Ds e Margherita, che parte dalla Puglia, che arriva fino alla Calabria, che mette insieme fondazioni e associazioni e che sarà destinata a ridisegnare presto i confini del maggior partito dell’opposizione. C’è chi lo chiama asse, c’è chi lo chiama dialogo, c’è chi la chiama soltanto alleanza: ma resta il fatto che sotto il corpaccione morbido del Pd sta nascendo una robusta spina dorsale formata da un lato da Enrico Letta e dall’altro da Massimo D’Alema.
Ecco, non è certo una notizia che tra D’Alema e Letta ci sia un ottimo rapporto, che tra i due ci sia una buona intesa dai tempi del governo dalemiano e che i collaboratori dei due ex ministri siano anche amici di vecchia data. Ma è invece significativo notare che non sono pochi i casi in cui i due mondi finiscono per confluire in unico universo. E’ così a Bari, è così a Reggio, è così a Roma, è così a Potenza, è così con Red, ed è così persino a Strasburgo.

“Attenzione – avverte Gianni Pittella, capodelegazione del Pd nel Pse – questa non è una congiura contro Veltroni. Da parte nostra c’è massima lealtà e non credo ci sia nessuno che voglia sfidare il partito. Per quanto mi riguarda posso dire che in giro, è vero, questa convergenza c’è, si vede, ed è piuttosto evidente: e non è un errore dire che, in fondo, i lettiani e i dalemiani il Pd l’abbiano fatto un po’ prima di tutti gli altri. Questa convergenza di culture ha contribuito a promuovere una nuova visione del Pd e non nascondo che guardando al futuro fatico a immaginare un partito che voglia rinunciare a un maggior contributo di dirigenti come Letta, D’Alema, Bersani e Fassino. Ripeto: noi siamo alleati fedeli, ma in un futuro prossimo non mi dispiacerebbe vedere D’Alema e Letta ai vertici del nostro partito: anche se D’Alema secondo me ha obiettivi di ben altro respiro”. Ma per entrare nel cuore di quello che potrebbe essere dunque definito come il “dalettismo” bisogna partire da Red, dalla costola politica della fondazione dalemiana ItalianiEuropei.

Non è certo un caso che l’uomo scelto da Massimo D’Alema per guidare il suo “tentativo di costruire in Italia un’esperienza politico-culturale di tipo nuovo” sia Paolo De Castro: ovvero l’ex dirigente dell’Ulivo che da ministro delle Politiche agricole del governo Prodi ha organizzato la campagna elettorale di Letta, alle primarie del 2007 – e che pochi giorni fa ha chiesto a Veltroni di dare al più presto una “sferzata di autorevolezza” al Pd. Non è certo un caso, poi, che chi lavora dietro le quinte di Riformisti e democratici sia quell’Ernesto Carbone che fino a un anno fa dirigeva lo staff di De Castro, e che con Letta si è candidato all’assemblea costituente del Pd. Dall’altra parte, è significativo che alla guida della creatura politica nata sotto la direzione dello stesso Letta ci sia Umberto Ranieri: dalemiano di rito napolitaniano e coordinatore dell’associazione 360 gradi, la cui sede si trova giusto a pochi metri dalla redazione di Red tv e dagli appartamenti del Cav. – a Piazza Grazioli. E chissà se questa sia solo una coincidenza. “Il mondo che si ritrova nell’universo di Letta va preso particolarmente in considerazione per almeno due ragioni – dice al Foglio l’onorevole Gianni Dal Moro, considerato braccio destro di Enrico Letta – La prima è che esistono poche realtà che come questa sono riuscite a mettere insieme, in modo efficace, dirigenti che vengono da due tradizioni profondamente diverse. La seconda è che anche grazie a questa esperienza sarà possibile superare definitivamente tutte le vecchie appartenenze politiche presenti nel Pd”.

“Questi meccanismi di coabitazione politica, compresi quelli che possono esistere tra D’Alema e Letta, non vanno generalizzati ma sono necessari per il Partito democratico – aggiunge il senatore del Pd Francesco Sanna – Quando ha accettato di far parte del governo ombra, Letta ha scelto una strada, quella della collaborazione e della lealtà in cambio della condivisione delle scelte strategiche del partito. La cosa mi pare funzioni. Non era scontato che il Pd sostenesse la tesi lettiana della difesa delle preferenze nelle elezioni europee. Mentre l’insistenza sui rapporti con l’Udc che Enrico propone evidenzia l’altra parte della sua/nostra collocazione: un profilo di autonomia che lo rafforza nelle relazioni interne e oggi e domani lo rende centrale, non aggiuntivo”. In effetti, il discorso sembra essere ancor più squisitamente politico se si vanno a prendere in considerazione le convergenze parallele che Letta e D’Alema condividono in Puglia, in Basilicata e in Calabria. Non è certo un mistero che la regione in cui è nato il presidente di ItalianiEuropei sia quella che mostra in modo più evidente il profilo del dalettismo: un po’ perché la Puglia è terra di vecchi dalemiani, un po’ perché questa è la regione in cui Letta si era ritrovato in mano con quasi mezzo partito, all’ultimo congresso della Margherita.

Ma da queste parti – che sia un consiglio comunale, che sia un consiglio provinciale o regionale – i dalemianlettiani sono un unico e riconosciuto blocco politico; e l’immagine perfetta della nuova stagione pugliese è certamente quella che offre l’onorevole Francesco Boccia: ex consigliere economico di Enrico Letta, oggi coordinatore regionale di Red e da molti considerato come il futuro candidato alla presidenza della regione. Ma non finisce qui, perché le storie di D’Alema e Letta si intrecciano sia in Basilicata (dove dalettiani di ferro sono l'ex presidente della regione, Filippo Bubbico, l’europarlamentare Gianni Pittella e il deputato Antonio Luongo); sia nel Lazio (dove i dalemiani e i lettiani si sono ritrovati ad appoggiare alle ultime elezioni regionali il consigliere Francesco di Stefano); sia in Calabria, dove il potente assessore lettiano Mario Maiolo – in ottimi rapporti con il mondo dalemiano – non solo condivide una solida amicizia con Marco Minniti ma presto dovrebbe essere uno dei nuovi iscritti dei Riformisti e democratici. “In tutto questo – racconta un collaboratore di Letta – c’è il rischio che ItalianiEuropei voglia farci crescere i baffi e voglia mettere il cappello sopra le nostre testoline. Esistono oggi alcune visioni culturali che tra i due mondi ancora non coincidono, ma la sfida è questa: quella di far sì che un giorno D’Alema e Letta rappresentino il futuro senza che questo significhi che il nostro mondo debba essere improvvisamente subalterno a quello di Red”.
Claudio Cerasa
23/10/08

venerdì 10 ottobre 2008

Il Foglio. "I Popolari si allontanano da Veltroni e si avvicinano a D’Alema"

Roma. Sembra ormai chiaro che ai confini
dell’universo del Partito democratico l’unica
stella che riesca a brillare di luce propria
non sia più quella che ha la forma e l’aspetto
del segretario del Pd, ma sia piuttosto
quella fatta da tre lettere, da un paio di baffi
e da una tesserina rossa di nome Red. Fin
qui la storia è nota: di Massimo D’Alema si sa
che ha la sua corrente, la sua fondazione, la
sua tv, il suo giornale, i suoi parlamentari e
la sua idea di partito molto ma molto distante
rispetto a quella dell’ex sindaco di Roma.
Ma se nel cielo del Pd alla stella con i baffi si
avvicina quella che ha finora riflesso meglio
di tutte la luce del segretario – ovvero quella
dei cattolici di rito popolare (Marini, Franceschini,
Fioroni) – e quella che non molto tempo
fa era uno dei grande sponsor di W. – i cattolici
di rito rutelliano – la situazione allora
comincia a essere davvero complicata per il
segretario. Così, proprio nelle ore in cui si
riunisce per due giorni in un convegno ad
Assisi l’affluente che più di altri ha portato
acqua al mulino del veltronismo (gli ex Ppi),
la geografia del Pd registra un nuovo terremoto:
uno scossone che se fosse ripreso dall’alto
offrirebbe l’immagine di un segretario
rarsi come realtà politiche degne di nota.
Vede, da popolare, riconosco che Red è diventato
ormai un partito nel partito con una
sua attrattiva nel mondo culturale della sinistra.
Una specie di Pci del XXI secolo.
Quel mondo è culturalmente assai distante
da noi, ma se nel Pd vanno oggi riconosciute
due spine dorsali – che possono e devono
collaborare – queste non possono che essere
una popolare l’altra rosso Red. Il resto –
non so: tra Melandri e Scalfarotto a quanto
arriviamo? Diciotto correnti? – mi sembra
tutto un po’ virtuale. A questo proposito, noto
con piacere che il centro cattolico del Pd
sta rimettendo insieme le sue forze, perché
il mondo rutelliano e quello per esempio
mariniano oggi sono finalmente molto più
vicini tra loro rispetto a qualche tempo fa”.
Attenzione però: sarebbe scorretto credere
che i Popolari stiano tramando chissà che
cosa nei confronti del segretario. Ma non c’è
dubbio che anche leggendo tra le parole dell’onorevole
del Pd sia piuttosto evidente come
gli ex Ppi stiano cercando di ritagliarsi
un profilo autonomo: sempre legato a W. ma
non così tanto da essere travolti dall’improvviso
crollo delle fondamenta del veltronismo
(discorso che vale soprattutto per i più fedeli
a Marini, il cui braccio destro – Nicodemo
Olivero – è non a caso già membro del comitato
di presidenza di Red). Non è poi certo
frutto del caso che Veltroni ad Assisi, al convegno
degli ex Popolari, non sia stato neppure
invitato. “Finora, l’unico limite della nostra
area – aggiunge ancora l’onorevole Merlo,
considerato politico molto vicino a Marini
(sarà l’ex presidente del Senato a presentare
mercoledì a Roma un libro del deputato)
– è che tra noi popolari forse c’è stata un
po’ di frantumazione. Detto questo, credo sia
un errore pensare che già prima delle elezioni
abruzzesi possano esserci colpi di testa
nel partito. Saranno più che altro le europee
il passaggio decisivo per la leadership del
Pd. Noi tutti siamo alleati fedeli a Veltroni
(come spiegato ieri ad Assissi anche da Giuseppe
Fioroni, ndr). Ma dobbiamo sapere
che il segretario non è il leader massimo che
deve durare per l’eternità. Oggi va sostenuto,
ma dal giorno in cui si discuterà del rinnovo
della segreteria bisogna dire la verità: dovrebbe
essere un cattolico a guidare il Pd”.
Ed Enrico Letta, idea dalemiana per il futuro
del Pd, ad Assisi è stato invitato da Marini.
Claudio Cerasa
11/10/08

giovedì 2 ottobre 2008

Il Foglio. "I numeri segreti di Red e le strategie più o meno segrete degli anti Red"

I dati: 3.000 tessere, 30 per cento di non iscritti al Pd. Fioroni e Bettini hanno pronte le contromosse. Il caso Velardi

Roma. La convivenza, diciamo, un po’ sofferta tra l’universo veltroniano e quello dalemiano non è fatta soltanto di retroscena ispirati, di dichiarazioni sospette e di frasi maliziose rilasciate un po’ a questo e un po’ a quell’altro giornale. C’è molto altro, naturalmente. C’è di mezzo la battaglia che Veltroni e D’Alema stanno combattendo sulle televisioni (una veltroniana, Pd Tv, e una dalemiana, Red Tv) che a novembre esordiranno sul satellite. C’è di mezzo la partita che ruota attorno agli equilibri politici di uno dei vecchi fortini democratici, la Campania. Soprattutto, c’è di mezzo quella sfida di potere ormai non più così nascosta tra fondazioni, associazioni e correnti. Da ieri pomeriggio però ci sono anche alcuni numeri precisi che offrono un quadro ancor più chiaro sulla geografia interna al Partito democratico. Sono quelli di Red, sono quelli che si riferiscono alla costola più famosa della fondazione dalemiana ItalianiEuropei e sono numeri che spiegano bene come si va a configurare l’accerchiamento alla leadership di W. Così, dopo 45 giorni di tesseramento, ecco il primo conteggio ufficiale: Red si ritrova oggi con 3.000 iscritti, con 400 tessere ritirate nel Lazio, altre 350 in Campania, circa 400 in Puglia e con una regione come il Piemonte dove in un solo giorno i tesserati (tra i quali c’è anche la governatrice Bresso) sono stati 150. Da questo calcolo sono escluse regioni rosse come l’Emilia Romagna e la Toscana e altre come l’Abruzzo e la Lombardia (il tesseramento qui partirà entro la fine del mese), ma sbirciando tra i primi dati c’è un altro aspetto significativo: il 30 per cento degli affiliati a Red non risulta iscritto al Partito democratico.

Da Nicolais a Palazzo Grazioli
Nella mappa politica del Pd stanno però crescendo nuove realtà che non è difficile oggi collocare in contrapposizione con Red. La prima si chiama Quarta Fase, fa capo a Beppe Fioroni e Dario Franceschini e da gennaio, seguendo la strada aperta quest’estate da Red, dovrebbe dare il via a un proprio tesseramento. La seconda, coordinata da Goffredo Bettini, si chiama Democratici in Rete, mette insieme alcuni tra i principali volti del Pd romano (Nicola Zingaretti, Roberto Morassut, Michele Meta) e questo pomeriggio inaugurerà nella capitale la sua seconda sede nazionale. Bettini si trova in un rapporto non facile con l’ex sindaco romano: nel partito sostengono che l’inventore del modello Roma stia provando a smarcarsi sempre di più dal segretario del Pd e in fondo è lo stesso Bettini che da tempo non nasconde di non sentirsi più veltroniano. Ma se c’è un posto dove le mosse di Bettini e quelle di Veltroni possono ancora essere sovrapposte quel posto è certamente la Campania, dove in vista delle prossime elezioni comunali e regionali la dialettica tra veltroniani e dalemiani arriverà a un nuovo punto di rottura. In questo senso. Poco prima dell’estate, Democratici in Rete (su suggerimento di W.) ha accolto tra i suoi simpatizzanti l’attuale segretario provinciale del Pd napoletano: quello stesso Luigi Nicolais che in molti vedono come futuro candidato (veltroniano) alla regione in contrapposizione con il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, considerato (seppur con molte sfumature) dalemiano. Dieci giorni fa, tra l’altro, D’Alema ha fatto un nuovo passo per rafforzare la sua sfera di influenza nel capoluogo campano (nel cui collegio era capolista alle ultime elezioni), aprendo la terza sede di ItalianiEuropei dopo avervi già inaugurato qui ad agosto il comitato cittadino di Red. Che ci si creda o no, Napoli potrebbe rivelarsi anche un’interessante cartina di tornasole per comprendere l’evoluzione dei rapporti tra Claudio Velardi (assessore al Turismo napoletano con cui D’Alema lavorò nel ’98 Palazzo Chigi) e lo stesso D’Alema. Rapporti che sono freddi da tempo (due anni fa l’assessore diede del “bollito” all’ex premier) ma ora che Velardi ha intenzione di candidarsi a sindaco di Napoli raccontano che la scelta non verrebbe vista male dal presidente di ItalianiEuropei. Il secondo intreccio riguarda il destino di Red Tv: la tv, che nascerà il 4 novembre, avrà i suoi uffici proprio nelle stesse stanze dove fino a due giorni fa andava in onda la rete on line fondata dallo stesso Velardi, Sherpa, e dove ancora lavorano tre giornaliste. La tv, in liquidazione, si trova a Palazzo Grazioli e sopra la sua redazione (ieri è comparsa anche Lucia Annunziata) c’è un inquilino particolare. Tu guarda la coincidenza, Max: lassù c’è il Cav.
Claudio Cerasa