venerdì 29 agosto 2008

Il Foglio. "Benedetto iPhone"

Non capirlo è come preferire l’Inter di Mancini a quella di Mourinho

Roma. E non si accende e non si scarica e non si inoltra e non si copia e non si trova e non si incolla e non si invia e non riceve e non funziona e le foto e le immagini e la pila e lo schermo e la tastiera e la sim e il contratto e manca questo e manca quello… E basta! Passata un’estate intera a leggere impegnative osservazioni scritte per lo più da commentatori che tuttora confondono un iPod con un iPhone o che nel migliore dei casi credono che un iPhone faccia tendenzialmente vomitare per il semplice fatto che le stesse persone non hanno ancora idea di come diavolo funzioni questo maledetto iPhone, a un mese e mezzo dal suo arrivo in Italia ci sono ormai poche cose da dire sul gioiellino della Apple. E’ piuttosto evidente che sarebbe più che sufficiente averlo tra le mani per più di qualche ora per capire che quel aggeggino un giorno o l’altro ci cambierà la vita. E’ vero: il copia e incolla che non c’è è un problema reale e gli mms che non si possono inviare sono una scocciatura certo non indifferente. Ma se oggi i vivaci brontoloni di mezz’estate battono i pugni sulle tastiere convinti che la qualità principale dell’apparecchio dell’Apple sia quella di comportarsi per lo più come un vecchio telefonino, beh, i nuovi proprietari di quella Ferrari che si chiama iPhone sono ancora in tempo per rimettersi in tasca un vecchio diesel di telefonino che non dà noie a nessuno e che gli mms li invia altrochè. Perché si può resistere all’iPhone, si è naturalmente liberi non solo di continuare a smanettare con il vecchio e indistruttibile cellullare della Nokia e si può anche scegliere di rinunciare da subito a capire cos’è davvero questa meraviglia che dallo scorso luglio mezzo mondo si è già messa nel taschino. Dovrebbe essere però chiaro che l’iPhone non è un telefonino, e che è una cosa un po’ diversa, che è una promessa di felicità che va usata con la suoneria molto alta, che non va nascosta nel taschino e che è fatta proprio per tutte quelle persone che sanno cosa significhi spingere il tasto refresh seduti in gabinetto e che sanno cosa vuol dire avere la possibilità di consultare le mail, di leggere i giornali e di agggiorn are il proprio blog senza essere costretti a ritrovarsi sullo schermo quei mozziconi di parole che ti offrono gli altri oggetti che continueremo a chiamare cellulari e che non ti permetteranno mai di provare sul tuo corpo il piacere di poter fare in qualsiasi parte del mondo le stesse cose che un tempo potevi fare solo rammollito sulla poltroncina del tuo scomodissimo ufficio (a parte il copia incolla per il quale comunque entro Natale sarà possibile rimediare).
Perché se è vero che è bello ciò che insieme è eccitante e sublime si può anche accettare che ci voglia un giorno intero per scoprire come si inserisce una sim. Si può anche accettare di pagare sessantacinque euro in una sola sera dopo essersi dimenticati tutta la notte l’iPhone accesso su Youtube per ascoltare le splendide note di Amen Omen, la vecchia melodia di Ben Harper. La verità è che ci possono essere conversazioni disturbate, ci possono essere tutti i bzz e gli mm che si vogliono e si può sopportare anche la voce un po’ cracchiata e la connessione disturbata. Ma non capire che un giorno qui si sarà tutti insieme a ringraziare il signor Steve Jobs che ci ha permesso prima di tutti di utilizzare un computer sotto le mentite spoglie di un telefonino equivale a non comprendere quella sensazione che si ha oggi mettendosi sdraiati di fronte la tv a guardare quella promessa di bellezza che può offrire, ad esempio, l’Inter di José Mourinho. Che ha ancora molti difetti, che non funziona granché, ma che la vedi e capisci che è una cosa diversa, capisci che ti permetterà di fare e di vedere cose che fino a ieri credevi impossibili e ti fa così comprendere che oggi come qualche mese fa aveva ragione il Time quando scriveva che l’iPhone è l’invenzione dell’anno. E se non si riesce a sopportare qualche mm e qualche bzz di troppo è come se in questo momento ci fosse qualcuno che dopo un precampionato non esaltante volesse far tornare all’Inter il Mancio al posto di Mourinho. Fate pure, prego: qui però per il momento preferiamo aspettare ancora con la suoneria molto alta.
Claudio Cerasa
29/08/08

sabato 23 agosto 2008

Il Foglio. "Veltroniani abbandonati da Veltroni. Il Pd scopre la sindrome da congresso"

Roma. Ci sono molti punti di osservazione per studiare l’attuale stato di salute del Partito democratico e ci sono molti modi per capire da dove nasce la psicologia un po’ declinante del più recente veltronismo. Torino, Cagliari, Firenze e Bologna sono tutte immagini di un attacco che arriva alle centrali periferiche della segreteria di W. Ma dietro alle più o meno avvincenti polemiche estive su Sergio Chiamparino e Leonardo Domenici c’è un tema – quello del congresso – che meglio degli altri riassume l’ultimo tentativo di dare ossigeno alla leadership di Walter Veltroni. Ci hanno provato Enrico Morando, poi Giorgio Tonini, quindi Sergio Cofferati e i più fedeli custodi della dottrina veltroniana tenteranno fino al prossimo ottobre di far cambiare idea al segretario sul congresso del Pd. Un congresso che il leader del partito ha sostanzialmente svuotato di un vero significato politico e che i veltroniani chiedono invece di trasformare più o meno in una grande convention elettorale in grado di dare maggior legittimazione alla leadership del partito. Con il risultato che, almeno su questo argomento, il segretario ha finito per mollare gli stessi veltroniani. “Veltroni – spiega un dirigente del Pd – ha il timore di farsi prendere in contropiede da avversari come D’Alema e crede che per un vero congresso ci debbano essere regole in grado di tutelarlo da attacchi di ogni tipo. Pensate cosa potrebbe succedere se in queste condizioni Carlo De Benedetti facesse partire una campagna di stampa per far nascere un nuovo leader!”. Così, quello che poteva essere l’ultimo colpo d’ala del veltronismo si sta trasformando nel sintomo più evidente della scarsa combattività del segretario, confermando per una serie di ragioni che l’unico affluente in grado di sostenere la leadership di W. è senz’altro quello che fa capo ai popolari del Pd. “Contro noi popolari – spiega al Foglio il senatore del Pd Lucio D’Ubaldo – nessun può imporre una cosa che a noi non convince come un congresso che a oggi risulterebbe semplicemente finto”.
Claudio Cerasa
23/08/08

martedì 19 agosto 2008

Il Foglio. "L’incontenibile Lega di governo ora scopre il nuovo leghismo del Pd"

Milano. A poche settimane dall’arrivo in Consiglio dei ministri della bozza sul federalismo fiscale, la Lega ha dimostrato di essere ancora una volta il più vivace motore politico del governo di Silvio Berlusconi. Questo non solo per l’abilità con cui in breve tempo è riuscita a imporre i propri temi nell’agenda dell’esecutivo, ma anche per l’efficace ruolo di mediatore tra i parlamentari di maggioranza e quelli d’opposizione. Tutto, naturalmente, gira attorno agli sforzi fatti a proposito del progetto di federalismo fiscale: proprio ieri pomeriggio il ministro Roberto Calderoli ha consegnato la bozza definitiva al ministro dell’Economia Giulio Tremonti (proconsole della Lega nel Popolo della libertà), confermando che entro la fine di settembre verrà discussa in Parlamento – bozza che, spiega al Foglio Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati del Pdl, “suscita perplessità su alcune scelte e appare carente nell’enucleazione dei criteri direttivi per quanto riguarda l’assetto finanziario dei comuni e le città metropolitane”.
Uno dei successi più significativi raggiunti dalla Lega è stato, soprattutto, quello di aver costruito un buon dialogo con il Pd di Veltroni. Basti pensare che fino a due mesi fa il leader del Pd sosteneva che la Lega fosse un partito che “vuole sventrare il sud e che vuole imbracciare i fucili” mentre oggi è lo stesso W. a insistere per dare ossigeno all’asse Pd-Lega. Non è un caso che la bozza consegnata a Tremonti contenga quella parola che il Pd aspettava di leggere da tempo (federalismo “solidale”). Non è un caso che il progetto leghista abbia messo da parte quel tipo di redistribuzione delle risorse previsto da una bozza approvata prima dell’estate dalla regione Lombardia e considerata “inaccettabile” dall’opposizione. Non è un caso, infine, che la provocazione lanciata da Bossi sull’Ici abbia trovato consensi trasversali anche all’interno del Pd (provocazione simile a quella che Bossi potrebbe presto ripetere a proposito di “uno scarso interesse del governo” nei confronti di Malpensa). Oltre alle posizioni dei sindaci Leonardo Domenici e Sergio Chiamparino (non a favore dell’abolizione dell’imposta) già due mesi fa erano stati i parlamentari bolognesi del Pd a presentare un’interrogazione parlamentare proprio contro l’abolizione dell’Ici. Ma il momento più importante per comprendere la qualità effettiva dei rapporti tra Lega e Pd sarà la prossima settimana a Firenze. Bossi, dicono al Foglio, ieri ha accettato l’invito di W. a partecipare alla festa del Pd e tra lunedì e sabato 30 il leader della Lega arriverà a Caldine di Fiesole per parlare di federalismo e provare a rinforzare l’asse col Pd anche a proposito di riforme costituzionali.

Per il Pd “Bossi è imprescindibile”
La Lega sa che da settembre un CaW di nuovo conio potrebbe scrivere autonomamente le regole del gioco, ed è anche per questo che da mesi porta avanti una serie di incontri con un gruppo di lavoro del Pd, formato da una ventina di parlamentari e una decina di rappresentanti delle autonomie locali. Un gruppo con cui la Lega ha trovato posizioni comuni su alcuni punti di “federalismo politico” contenuti nella bozza Violante: riduzione dei parlamentari, Senato delle regioni e più poteri al premier. Certo è che non basta parlare di semplice tattica politica per capire quali sono le ragioni per cui la Lega di governo dialoga con successo con il Pd. C’è qualcosa di più. C’è qualcosa che tra gli stessi parlamentari di centrosinistra oggi viene identificato come un “neo leghismo del Pd”. La Lega, da una parte, ha imparato sulla propria pelle che la stagione delle riforme a colpi di spallata non porta lontano – lo ha scoperto con la devolution qualche anno fa – e ha compreso che il confronto con il principale partito dell’opposizione è una scelta più che saggia. Dall’altra parte, però, il Pd guarda alla Lega con due lenti diverse. “La prima – spiega al Foglio un senatore Pd – è quella adottata da una certa classe dirigente del partito convinta che il modo più elementare per indebolire la maggioranza sia quello di dialogare con la minoranza più solida, la Lega, immaginando di replicare alla fine della legislatura il capolavoro fatto da D’Alema: portare i leghisti a sinistra. La seconda riguarda una strategia a medio termine. Nel nostro partito c’è la convinzione che la Lega parli un linguaggio che risponde a un interesse tipico dell’autonomia locale. A differenza di An e Forza Italia i principali dirigenti del Pd nascono nelle amministrazioni cittadine. Se non vogliamo ritrovarci in Liguria, in Abruzzo, in Sardegna, in Umbria nelle condizioni in cui ci troviamo a Roma quell’approccio deve esserci da esempio”. “Si può pensare quello che si vuole di Bossi – dice il deputato del Pd Daniele Marantelli – ma il Pd deve capire che il senatur è uno dei leader politici più di razza che ci siano sul mercato e che da lui oggi è un po’ difficile prescindere”.
Claudio Cerasa
18/8/08

sabato 2 agosto 2008

Il Foglio. "Così la guerra sicula tra i due cuffari riavvicina Totò al Cav."

Palermo. Ve li hanno descritti come i due
gemelli di Sicilia, come le due facce di uno
stesso sistema di consenso e come l’immagine
perfetta di un passaggio poco traumatico
tra due distinte gestioni di potere. Il fatto è
che, tre mesi dopo le ultime elezioni, i gemelli
di Sicilia formalmente non esistono più.
Raffaele Lombardo e Salvatore Cuffaro non
si parlano da mesi, bisticciano ormai pubblicamente
e da qualche tempo hanno iniziato a
lanciare al Cav. messaggi piuttosto significativi.
La guerra tra i due Cuffari è però una
guerra che rischia di mettere in imbarazzo il
centrodestra. Perché, a livello locale, i rapporti
di forza all’interno della maggioranza
offrono in questo momento a Lombardo un
potere non indiferente. Non solo per la scarsa
incisività dell’opposizione (il Pd, tra l’altro,
in Sicilia non ha ancora una sua sede). Ma soprattutto
per le difficili condizioni in cui si
trova l’intero Popolo della libertà siciliano. Il
Pdl non ha ancora scelto il nuovo coordinatore
regionale, quello che dovrebbe sostituire
Angelino Alfano, nominato ministro Guardasigilli.
Il governatore ha, nei fatti, un solo argine
al proprio sistema di potere: quel blocco
sociale costruito negli anni da Cuffaro. Ma
Cuffaro, da solo, pesa sempre di meno perché
Lombardo gli sta vampirizzando non solo gli
elettori ma pure quell’immenso feudo che si
chiama sanità. Per avere un’idea di quanto
conta il comparto in Sicilia basta pensare che
inghiotte due terzi del bilancio regionale.
Pur di alzare una qualche difesa, l’ex governatore
ha avviato una manovra a largo
raggio. Essendo lui l’azionista di maggioranza
dell’Udc (senza il granaio siciliano, il partito
di Casini non andrebbe oltre il 4 per cento),
ha deciso di spingere per un recupero di
un dialogo con il Cav. A patto però che il leader
del centrodestra cerchi di riportare a più
miti consigli Lombardo. Il quale, tra l’altro,
non soltanto vampirizza il blocco sociale e il
sistema di relazioni che fu di Cuffaro, ma anche
gli uomini e gli interessi riconducibili al
Popolo della Libertà. Fra qualche giorno, il
nuovo governatore avvierà lo spoyl sistems.
Con ogni probabilità finirà per occupare con
il suo Mpa le quaranta poltrone che più contano
nell’universo burocratico della regione.
I momenti chiave per comprendere la
guerra tra i due cuffari sono due e sono questi.
Lombardo ha formalmente rotto con Totò
“vasa vasa” il giorno in cui il governatore ha
lanciato una dura accusa nei confronti del
leader dell’Udc isolana. Lombardo ha sconfessato
la precedente gestione della sanità
cuffariana spiegando che la regione ha ereditato
una situazione “terribile”. Cuffaro c’è rimasto
male. Ha detto che il suo partito appoggerà
ancora l’attuale giunta ma che lui certamente
non avrebbe più avvertito “sentimenti
di amicizia con il presidente Lombardo”.
Non solo. Pochi giorni fa, a quattro mesi dalla
sua detronizzazione, Cuffaro è arrivato a
Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della
regione, e ha chiesto alla segreteria di
Lombardo di potere entrare nello studio del
suo successore “per un salutino”. Ma il governatore
non avrebbe molto gradito e gli avrebbe
fatto sapere, tramite la segretaria, che non
c’era alcun appuntamento in agenda.
La tensione tra i due ex gemelli siciliani ha
però una certa rilevanza anche sul piano nazionale.
I segnali di impazienza dell’Mpa sono
arrivati questa settimana e sono segnali simili
a quelli lanciati dalla Lega di Bossi. Tre
giorni fa l’Mpa ha votato con l’opposizione
sull’emendamento milleproroghe e Lombardo
ha polemicamente ricordato che la coalizione
di maggioranza d’ora in poi dovrà sempre
“consultare il suo partito prima di prendere
una decisione”. Il rivendicazionismo di
Lombardo ormai non conosce freno. Ma continua
ad avere buon gioco perché il Pdl da tre
mesi non riesce a trovare la formula necessaria
per darsi una nuova classe dirigente e colmare
così l’attuale vuoto di potere. Ogniqualvolta
si parla del nuovo coordinatore, scatta
il braccio di ferro tra l’ala del partito che fa
capo al presidente del Senato, Renato Schifani,
e quella parte che ancora si raggruppa attorno
a Gianfranco Miccichè. Una mediazione
sarebbe stata tentata in queste ultime ore
da Angelino Alfano al quale, come coordinatore
dimissionario, spetta il compito di designare
il successore, ma il risultato ancora
non si conosce. L’unica certezza è che Alfano
vuole stringere i tempi. Anche per non regalare
a Lombardo altri mesi di vantaggio.
2/08/08
Claudio Cerasa